Dal momento che la produzione filmica è rappresentativa del clima culturale di un’epoca, di un popolo, o di un Paese, trattando il trapianto d’organi è interessante accennare anche al modo in cui i film sviluppano tale tema.
In genere i film sui trapianti tendono a porre l’accento sull’aspetto di tale pratica più temuto dalla gente comune:

  • la paura di cambiare personalità in seguito all’introduzione di un organo estraneo, appartenuto ad un’altra persona e ad un’altra vita;
  • la paura di cambiare le proprie caratteristiche sessuali;
  • la paura che gli organi vengano prelevati da corpi vivi;
  • dottori pazzi che fanno esperimenti e si sostituiscono a dio, come nei film horror.

Basti pensare a film come “Amore a prima vista” dove il paziente trapiantato subisce un doppio cambiamento nella personalità e nell’orientamento sessuale.
Il protagonista (interpretato dall’attore Vincenzo Salemme) figlio delinquente di una nota famiglia camorrista napoletana e noto “sciupafemmine” dopo aver ricevuto un trapianto di cornea s’innamora follemente del marito della sua donatrice, defunta moglie di un Maggiore dei carabinieri.

O pensate alla trasformazione di personalità messa in risalto nel film “Il coraggio di una madre” in cui una la protagonista (interpretata dall’attrice Monica Guerritore) decide di donare il cuore del proprio figlio grazie al quale colui che lo riceve modifica positivamente il proprio comportamento, da delinquente diventa un onesto cittadino.

In alcuni casi il timore, più o meno inconsapevole, di “non riconoscersi più”, è portato all’eccesso, in senso negativo, come nell’immaginario dei film horror o della “science fiction” dove si diventa mostri, o peggio ancora pericolosi assassini in seguito ad un trapianto.
Un film che probabilmente alcuni ricorderanno è “Frankenstein” di Mary Shelley oppure “Le mani dell’altro” (titolo originale: “Orlache mande”), film muto del 1925, diretto da Robert Wiene, dove ad un pianista, che perde le mani in un incidente, vengono trapiantate quelle di un pluriassassino strangolatore appena giustiziato, con le conseguenze che possiamo immaginare.

Preceduto di un secolo dal romanzo gotico e affini, anche il cinema immagina che i trapianti si possano eseguire solo profanando le tombe, peccato meno grave qualora i cadaveri appartengano ad assassini incorsi nella pena capitale. Coloro che compiono l’esperimento, contando di trasmettere per via scientifica il principio vitale e fantasticando sui possibili rapporti tra l’anima umana e l’elettricità, sono dei dottori pazzi che credono in Dio ma che non resistono alla tentazione di sostituirsi a lui. Il “mad doctor” diviene infatti una figura ricorrente del cinema horror, personificazione della “cattiva scienza” che non conosce limiti etici. Infine, con lo sviluppo della scienza la fantasia iniziale si trasforma in fantascienza: gli organi si prelevano dalle persone indotte appositamente in coma (“Coma profondo” di Michael Crichton), su emarginati (“Estreme Measures” di Michel Apted), o si fanno addirittura trapiantare su se stessi, come nel grottesco The Kingdom di Lars Von Trier dove ricompare il “mad doctor” che in mancanza di cavie umane disponibili si trapianta un fegato infettato dal cancro per aiutare la ricerca.

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